La sicurezza non è una materia, difficile crederci ma è cosi. (secondo me)
La sicurezza è un insieme di misure, pensieri, azioni, comportamenti, atteggiamenti, necessari ad evitare quelle situazioni che gli esseri umani non sono in grado di gestire, quei pericoli per i quali non siamo progettati a resistere.
Ma come?? oggi la insegnano nelle università, è oggetto di valutazione ed esame, come facciamo a non considerarla una materia?
Io ho sempre sostenuto che la sicurezza sia prima di tutto un atteggiamento, quel modo di approcciare al fare, nel rispetto di quello che siamo e dei limiti che abbiamo, che sono moltissimi.
Il software di base che abbiamo installato all’interno del nostro cuore, della nostra pancia e della nostra testa ci aiuta, costantemente, a comprendere tutto ciò che ci circonda, a valutare coscientemente, a confrontarci con il vissuto, e ad agire, con l’unico scopo di proteggerci da tutto ciò che può danneggiarci.
Ma torniamo alla questione.
Quando consideriamo qualcosa materia, l’associazione alla scuola e all’insegnamento è diretto.
I corsi di formazione seguono un pò questo standard, l’impianto strutturale è simile, e simile è anche il comportamento assunto da molti discenti, che non riconoscevano allora questa impostazione e continuano a non riconoscerla in età adulta, con la conseguenza che spesso i corsi di formazione in materia di sicurezza sono completamente inefficaci.
E allora cosa fare per trovare quell’equilibrio che ci consente di trasmettere cultura in materia di sicurezza e riuscire ad ottenere un discreto successo?
Smettiamola di definirla materia, prima di tutto, poi, cerchiamo di essere più presenti nei luoghi in cui le idee malsane prendono forma, il cantiere, i luoghi di lavoro in genere, insomma in tutti quei luoghi in cui i lavoratori, subiscono gli effetti negativi di quei virus che disorientano dall’obiettivo, che distolgono l’attenzione dalle priorità.
E’ in questi luoghi che dobbiamo lavorare concretamente, piuttosto che in aula, perchè è il contesto giusto dove scoprire come con buonsenso, con gli strumenti e i dispositivi corretti, si può scoprire come fare bene e in sicurezza sia l’unica strada da percorrere se desideriamo ottenere risultati concreti.
Bisogna superare l’approccio prescrittivo nei confronti dei lavoratori e delle aziende, quantomeno limitarlo al mimino necessario e bilanciare l’approccio tecnico-scientifico con quello emotivo-affettivo.
Se come docenti-formatori, non siamo coscienti che può esistere uno scarto tra noi che ci “imponiamo” e chi “subisce” il nostro metodo di insegnamento, rischiamo di essere inefficaci, inutili, continueremo a trovare elmetti e cuffie appese ad un attaccapanni, perché la cosa più importante, almeno per qualcuno, sarà ancora una volta giustificarsi e dimostrare di averli a disposizione, piuttosto che indossarli.
Alessandro Medini